C.A.I. Sezione di Volpiano

 

    

 

CARLUCCIO : L'EQUILIBRIO E LA GENEROSITA'

 

Dopo Sücca e ‘l Cens  anche Carluccio ci  ha lasciati.

 

Prendendo spunto dal  ricordo  tracciato da Beppe Gallo a proposito di Beppe Sucamiele , chiedo anch’io ospitalità al sito del CAI di Volpiano, per un ricordo di Carlo Martino, per tutti Carluccio.

Un alpinista forte, che qui sarà ricordato soprattutto per i tratti profondamente umani della sua personalità.  

La  partecipazione all’attività “montagnina” volpianese e canavesana è tutta concentrata in due periodi: il primo, piuttosto adolescenziale e soprattutto in compagnia del Mingo e di qualche altro coscritto, è bruscamente interrotto dalla morte, tragica ed accidentale, del padre; il secondo, molto intenso, cavalca gli anni ’70 e si interrompe inspiegabilmente all’inizio degli ’80.

In quell’  ”inspiegabilmente” è concentrato  tutto il rammarico dei molti compagni di escursione, che ad un certo punto hanno dovuto abituarsi all’ assenza di un amico  dopo che , per più di un decennio e quasi ad ogni gita, ne avevano data  per scontata la  presenza simpatica e preziosa. 

Lui si giustificò dicendo  che non se la sentiva più di fare ( citazione ) il “pendolare” della montagna.

L’ abbandono dell’alpinismo di alta quota  resta un po’ un mistero:  sapevamo del  permanere di un interesse per un moderato  escursionismo e per lunghi giri in bicicletta; sapemmo poi anche degli studi serali e del conseguimento del diploma in ragioneria; sappiamo delle assidue cure prestate alla mamma fino agli ultimi giorni di lei.

 

Eravamo cauti nel fargli  domande per saperne di più:  conoscevamo  la sua riservatezza e, soprattutto,   rispettavamo il suo equilibrio, la capacità di concentrarsi sulle cose che riteneva più importanti, la disponibilità alla rinuncia per fare la gioia di altri.

Una sua frase, che  ripeto spesso come monito per me, riformulata dice pressapoco così: “ La decisione migliore non è quella che va molto bene per me, ma quella che va abbastanza bene per il maggior numero  di persone coinvolte”.                             

E dire che di frasi ne diceva proprio poche.  Nelle discussioni di gruppo, dove c’era chi la voleva cotta e chi la voleva cruda, dove appariva evidente il tentativo di ognuno di far prevalere  la propria opinione, lui non si esprimeva.  Consapevoli di questo  suo  astensionismo pregiudiziale,  ad un certo punto prendemmo  l’abitudine di  sollecitare una sua presa di posizione.                                         

Rispondeva allora a fatica, in tono dimesso, con una frase breve dalla quale  trasparivano  il buon senso e l’equlibrio della sua visione delle cose;  e nessuno osava mai contraddire  quelle  parole che un po’ gli avevamo  estorto: la decisione era presa !  Ed era quella!

Una sola volta, di sua iniziativa e in montagna,  propose di rinunciare: eravamo allo scivolo nord della Becca di Gay. Non replicai e non gli chiesi il perchè.                                                                                                        

A  malincuore voltammo i tacchi e risalimmo in silenzio al colle Baretti.  

 

Qualche anno prima, tornando con gli sci dalla Dufour, ci perdemmo nella nebbia; non avevamo nè carta, nè bussola, nè altimetro ed eravamo solo in due.  Ci trovammo a scendere a scaletta e con molta cautela un ripido pendio, senz’altro non percorso in salita; apparivano e sparivano vicinissimi a noi, appena visibili , enormi  seracchi.   Per rincuorarci provai a dire che ci trovavamo in uno degli ambienti  glaciali più belli delle Alpi. Mi rispose, con molto realismo,  che se ne rendeva conto ,  ma che sentiva  un nodo alla gola e viveva una forte inquietudine .

Imbruniva  ormai, quando scorgemmo  la capanna  Bétemps  in una  posizione diversa rispetto  a quella in cui  l’avevamo cercata. Eravamo già più bassi, nel ghiacciaio del Grenz.  Nel frattempo i nostri amici, Franco, Giuseppe e Miche  ( scomparso, quest’ultimo, da pochi giorni ),  erano  tornati dalla Nordend ed avevano riguadagnato il rifugio ormai da alcune ore. Erano molto preoccupati per noi. Negli ultimi momenti di luce fioca di un crepuscolo  che mostrava  un cielo divenuto ormai livido, apparimmo loro in lontananza.    Ci fecero segnalazioni con le pile e ci vennero incontro . Giungemmo al rifugio dopo le 10 di sera . Il seguito di quell’avventura  con Carluccio spiega come per me sia  una di quelle che - come si dice - conto per una.  

 

Nevicò abbondantemente  tutta la notte. Il mattino seguente, nella nebbia più fitta, tutti e 5 scendemmo verso  Zermatt  seguendo una comitiva  con guida; vedevamo  a stento  chi ci stava davanti; nel  solco appena tracciato dal gruppo nella  coltre  morbidissima,  sfioravamo  con i gomiti  il metro e mezzo di neve fresca  caduta nella notte.  Giunti a Furi, risalimmo al colle del Teodulo seguendo i pali degli skilift, che ci apparivano uno alla volta nella nebbia  fittissima. Gli impianti erano ormai chiusi per fine stagione. Dal Teodulo scivolammo verso Cervinia inventandoci  un percorso nei campi di neve immacolata. Tornati a casa sentimmo  i notiziari  che annunciavano comitive di scialpinisti bloccati nei principali rifugi delle Alpi. 

Sono vicende  che non si dimenticano.                                                                                                                                                              

Fra gli amici,  Carluccio è ricordato per  la sua forza straordinaria, la resistenza al freddo, la calma imperturbabile  che gli permetteva di  addormentarsi  anche nelle condizioni più disagevoli; ma soprattutto per  la sua disponibilità ad aiutare chi era più affaticato.  A qualcuno ha portato lo zaino, a qualcun altro gli sci , a me, che avevo  ormai le dita insensibili per il freddo,  ha allacciato i ramponi  a mani nude nella neve.  La sua forza e i suoi mezzi  erano  al servizio di tutti. Qualcuno lo aveva soprannominato “la mamma”. E la mamma arrivò a prendere  sottobraccio, verso la fine dei 100 chilometri della Torino-S.Vincent, uno sconosciuto che arrancava  esausto nella salita della Mongiovetta:  lo accompagnò  fino al traguardo delle Terme !

 

Venne anche la stagione dei viaggi: Tunisia, Grecia, Marocco, Egitto. In Grecia non ci facemmo mancare la salita all’Olimpo, nè, in Marocco,  quella al Gebel  Toubkal, il 4000 più elevato dell’Alto Atlante.                                                                                                                                                                          

Ma  le avventure sulle  montagne  estere, tutto sommato,  ricordavano quelle  che  eravamo abituati a vivere anche sulle Alpi. Erano ben altre, invece,  le situazioni di disagio in cui erano  messe a dura prova, durante quei viaggi, la resistenza  fisica e quella  nervosa.   Trattavasi di vacanze che, oltre al “fai da te”, erano ispirate alla formula spartana del “tenda e sacco a pelo”, con fornellini e pentole al seguito. Ci si concedeva qualche cena in piccoli ristoranti;  ma niente più.  Non è sempre facile vivere molti giorni consecutivi in gruppo di 15 persone, con momenti a 45° all’ombra, con  sete impellente,  con la tenda da montare e rismontare quasi giornalmente, l’acqua da cercare, la fame dei 30 anni da soddisfare.   

E sono quelle le situazioni in cui esplodono tutti i tratti meno edificanti del  carattere  di ognuno. Ebbene: Carluccio pareva sempre distaccato da tutto e imperturbabile. Perse il portafoglio e disse: “La cosa non mi tocca!” Guidava l’auto nelle ore postprandiali in cui gli altri sonnecchiavano . Non era mai coinvolto nelle dispute decisionali e  accettava di buon grado  il parere emergente come se fosse anche il suo da sempre.   In un piccolo zoo del deserto si fidò del guardiano che gli propose di accarezzare la leonessa e accettò  che gli si posasse sulle spalle e attorno al collo un grosso serpente;  inoffensivo fin che vuoi, ma vacci a credere...

 

Alle 3 di notte, nell’oasi di Tozeur, il rullo dei tamburi lasciava pensare ad una festa  locale di matrimonio . Da non perdere!  In 3 ci lasciammo tentare dalla curiosità ed uscimmo dalle tende.        Giunti in loco, gli ospiti ci scorsero, ci invitarono ad entrare nel cortile della casa, ci proposero di ballare... .    Sücca ed io riuscimmo a declinare l’invito  cantando, in cambio,  un paio di  canzoni popolari piemontesi ( in quelle ci sentivamo bravi! ) nel silenzio attento  di un centinaio di persone, che avevano tutte  la pelle  molto più scura della nostra.  Ma Carluccio no. Non aveva cantato.  E allora provarono ad insistere con lui affinchè ballasse. Eravamo pronti ad escogitare qualche altro stratagemma per metterlo  in salvo, ma lui si alzò, calzoni corti e sandali, e si produsse in goffi  passi di danza. Penso fosse la prima volta in vita sua in cui provava a ballare. Il ghiaccio era rotto anche per noi. Un omone ci mise  a turno le mani sui fianchi e  ci sentimmo le  anche ondulanti  alla cadenza  dei  tamburi.   Per interpretare quei  ritmi  sconosciuti,  guardammo gli altri e diventammo anche noi sinuosi come le dune del deserto, mosse e spostate dal vento. Esperienza  etnica indimenticabile! Ed era stato  Carluccio a vincere la timidezza e ad osare, introducendoci per un momento in quel mondo.

 

Negli ultimi 30 anni ci siamo visti poco. Ero sempre io a cercarlo e a scovarlo. Ma ogni volta il dialogo riemergeva alle prime battute con il vigore  e l’intensità di sempre. Se non temessi l’ossimoro direi che la sua riservatezza  diventava talvolta confidenziale.  Mi mise a parte di qualche tratto del suo privato e di qualche pena.  Appariva contento, talvolta serenamente rassegnato, sempre in equilibrio con se stesso e con il mondo che lo circondava.  Lo rividi in occasione di un mio lutto di famiglia, di cui era stato informato dal Mingo. Ebbi modo di raccontargli di un guaio sanitario in casa, riguardante persona a me molto vicina, ma anche a lui  molto cara.   Il giorno seguente trovai nella buca delle lettere un suo scritto  in cui, senza fare cenno alcuno alla mia narrazione, mi raccontava di un suo grave problema di salute  di 10 anni prima. La compartecipazione appariva tanto più chiara,  penetrante  ed affezionata  quanto meno risultava  esplicitata dalle parole. Parole semplici, che  contenevano  un grande messaggio di speranza.  Sentii  l’amicizia perdurare  nel tempo.      

                                                                                                          

Era riapparso nel  dicembre 2010 in Gesia Neuva, quando  il nuovo coro La Vauda aveva tenuto il suo primo concerto di Natale, tutto pervaso dei ricordi di Sücca e del Cens.  Fu l’ultimo incontro.   

Se  ne andò poco dopo senza fare rumore, come piaceva a lui; senza alcun segno  apparente che annunciasse la sua partenza, improvvisa  e destabilizzante per tutti gli amici.  Ci sentimmo  tutti davvero confrontati con il mistero della morte. E  tutti anche un po’ orfani.                                    

Ripercorrendo i ghiacciai  innevati  delle Alpi Pennine, ci parrà di sentire ancora, sommessa, la sua schietta risata.

 

Mario Michela

 

 

Credits: La foto della testata  è tratta dal sito della scuola Valleorco

[www.scuolavalleorco.it]

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Release 1.0.0

del 17/08/2009

Webmaster: JackMinet

prima release: 17/08/2009